mercoledì 11 novembre 2009

Conversazione con un immigrato Eritreo

Bari, Stazione di Trenitalia, Binario 3, una sera d'autonno alle 23.05.
Ho perso il treno. Credevo fosse alle 22.45. Era 5 minuti prima, ricordavo male. Peggio ancora, l'altro treno, quello "successivo", su cui contavo, delle 23.15, non c'è. L'ho scoperto guardando lo schermo e riguardando gli orari. Devo prendere l'Espresso di mezzanotte, per tornare a casa. Il problema è che il biglietto che ho, quello del Regionale, non mi permetterebbe di salirci. Ed in tasca non ho nemmeno soldi sufficienti a pagare la differenza. Ho solo 50 cents. Ne occorrerebbero il doppio, ammesso e non concesso che possa servire.
Parlando con i miei, il messaggio che ho ricevuto è stato "vai a dormire da nonna". Si, a quest'ora. Lasciamo perdere. Male che va, pagherò la multa. Me la farò mandare a casa. Se poi la questione fosse solo di pagare la differenza, la pagherei a Trani.
Sono stanco e preoccupato, ho voglia di sedermi. Ma fa freddo. Ricordo che c'è il "gabbiotto", lì si sta meglio. Vado a vedere. Ma inizialmente faccio per allontanarmi. Ci sono 3 immigrati che dormono ed occupano le sedie. Loro stanno peggio di me. Non è giusto chiedergli di spostarsi.
Poi però guardo meglio. Uno dei tre non sta dormendo, è seduto, ed accanto a lui c'è un posto vuoto. Massì, entriamo. "Posso?". "Prego". Per la cronaca, l'altro immigrato lì vicino farà per spostarsi, per lasciarmi spazio. Sarò io a dirgli che non c'è bisogno.
Beh, ora siamo lì. Un'ora al treno. O la passo a logorarmi nell'attesa, o scambio due chiacchiere con questo signore..."Dove va?". "Foggia".
Prenderemo lo stesso treno. La conversazione continua. Con l'italiano è un po in difficoltà, con l'inglese si regola meglio (anche troppo: a volte non capisco io!). Mi spiega che viene dall'Eritrea. Che laggiù è impossibile vivere, a causa della guerra. Tutta la sua famiglia, tranne sua madre, è stata cooptata nell'esercito. Adesso le cose vanno un po meglio da quando c'è il contingente internazionale, che ha separato un po i campi. Ma le condizioni restano invivibili. Tutti gli sforzi sono sul piano militare. Nulla per coltivare la terra, e far stare un po meglio la gente.
Lui è qui da un anno. Fa il taglialegna. Per lavorare si sposta molto, da Lecce a Potenza e così via. Riesce a vivere ed a mandare soldi a casa. "Al mese guadagno a volte 800, a volte 1500, dipende". Chiaramente tutto instabile.
Dopo un po sento il bisogno di "non fare l'interrogatorio". Di raccontargli qualcosa pure di me. Gli dico che sono di Trani, che vengo a Bari per studiare, per Politica, e per un giornalino online a cui collaboro, e che quest'ultimo era il motivo della mia venuta odierna. Poi non mi trattengo, e gli spiego anche il fatto del biglietto, convinto che si farà una risata e spererà con me che vada per il meglio.
Quanto accade, invece, mi lascia senza parole. Lui, che di problemi ne ha sicuramente mille più di me, non ha dubbi: "te lo do io l'Euro". Faccio per dissuaderlo, per dirgli che non è giusto, che potevo cercare altre soluzioni. Non sente ragioni, mi mette l'Euro in mano e non lo riprende indietro. "I soldi a casa li ho già mandati, ne ho abbastanza, non è un problema". E più continuo a parlare, più insiste. "Non è un problema, non è un problema!".
Il treno arriva. Salgo con lui, e mi fiondo in cerca del capotreno. Riesco a risolvere, per fortuna.
Torno al vagone su cui sono salito, per cercarlo. Devo quantomeno ridargli l'Euro, a questo punto. Lo ritrovo. "Beh, tutto a posto?", mi chiede subito. Si, era tutto a posto. Gli dico che l'Euro glielo ridarò indietro, una volta alla stazione di Trani l'avrò, ma non lo voleva. Ci metto parecchio a convincerlo a riprenderselo. "I don't need, I don't need".
Beh, a quel punto lo scompartimento è vuoto, e c'è un'altra mezz'ora, prima di tornare a Trani. Possiamo continuare a chiacchierare.
Ma a questo punto sento di fargli domande un po più delicate. Comincio a chiedergli se ha trovato razzismo, dalle nostre parti. Mi risponde, sorprendentemente, di no. Con noi appulo-lucani si trova benissimo. Dice che al massimo ha sentito di un po più di razzismo dalle parti di Torino e Milano.
Mi fa piacere, vuol dire che non è stato vittima di episodi spiacevoli. E che non percepisce l'ondata che c'è. Anche se poi, quando gli parlo di come il razzismo sta avanzando in Italia, non gli racconto cose che non sa.
Infatti annuisce, come chi ascolta discorsi che conosce, quando gli spiego come in Italia sia cresciuto il mito dell'"immigrato cattivo", di come i giornali diano rilevanza diversa ad un reato a seconda di chi lo commette, di come stia crescendo l'equazione "africano=criminale". E di come taluni partiti abbiano costruito il loro consenso individuando nell'immigrato il nemico da combattere, ed abbiano vinto le elezioni con lo slogan "Basta clandestini" (e non "basta criminali", che avrei sottoscritto).
Queste cose le sa. E mi spiega che ha anche visto alcuni suoi connazionali (o di Paesi limitrofi al suo) venire qui a fare brutte cose, dallo spaccio di Ascisc ai furtarelli. "Ma non è giusto che per loro paghiamo tutti, non siamo così".
Gli chiedo se sa anche che certa gente vorrebbe che tornassero tutti al loro Paese. Mi risponde (in inglese) "se al mio Paese le cose cambiano e si sta meglio, ci torno domani mattina, prendo l'aereo e vado. Ma così non posso tornare. Se torno muoio. Con quel pazzo di Presidente che abbiamo, come faccio a tornare".
Purtroppo potrebbe non avere scelta. Gli chiedo se lo sa, che se perdesse il lavoro dovrebbe andare via per legge. Perchè per certe leggi chi non ha lavoro, se è immigrato, diventa automaticamente criminale. Lo sa. Sa tutto! Mi spiega anche che l'80% di quelli che sono clandestini, che lui conosce, il lavoro non ce l'hanno. Ed alla mia domanda "e sono criminali?", la risposta è "No". Ma aggiunge anche "però se continuano così, abbandonati a se stessi, molti di loro finiranno per diventarlo". Già.
Lui comunque non si arrende: "se perdo questo lavoro, lotterò per averne un altro, fino alla fine". D'altra parte, o così, o la morte certa che lo attenderebbe in Eritrea, senza che lui abbia fatto nulla. E aggiunge, spiegando che non si arrende: "e poi l'Italia può cambiare". E penso a quanti italiani dovrebbero crederci, visto che ci crede lui.

Sto per arrivare. Ci salutiamo. Ci scambiamo per la prima volta i nomi (nessuno dei due aveva sentito il bisogno di sapere il nome dell'altro, fino ad allora). E mi dice "Ci vediamo!". Lo saluto, dicendo "Good Luck!". Ne ha bisogno. E se lo merita. Per come mi voleva aiutare. Per come vive in questo Paese. Per i pericoli che lo aspettano ogni giorno della sua vita. Intanto, col suo dissenso, eviterò di contribuire a dargli meno strumenti. In stazione c'è chi mi aspetta, con in mano quell'Euro che gli devo restituire. Anche se lui non lo vorrebbe.

Trani, Stazione di Trenitalia, 0.31. Il treno è puntuale. Prendo l'Euro da chi mi viene a prendere, glielo do, scendo e mi avvio all'uscita.


Buona fortuna, amico.

1 commento:

Vitto Gio ha detto...

Ciao, mi chiamo Vittorio e scribacchio anche io per Linkredulo. Credo che questa tua testimonianza andrebbe pubblicata, in quanto sia molto più intensa di molti articoli che tra una settimana cadranno nel dimenticatoio. La tua esperienza mi ha fatto tornare alla mente alcune vecchie situazioni in cui io m'ero ritrovato a scambiare parole con queste persone FORMALMENTE sfortunate, ma SOSTANZIALMENTE ricche. Una ricchezza che l'Italia di oggi non ha più, e che forse vuole fuggire, tramite una viziata saccenza xenofoba. Grazie, mi hai emozionato con grande semplicità!